Tra Realismo e sublime bellezza nelle pieghe della tessitura artistica della Liguria italiana dal XV al XIX secolo
L’inarrestabile ascesa del cotone
Un nuovo protagonista si affaccia sulla scena del comparto tessile: il cotone. È venuto il momento di cambiare,il velluto ha ormai fatto il suo tempo e la produzione della seta cala inesorabilmente.Siamo agli inizi del Settecento.
Breve storia del cotone
Il cotone è considerata la prima pianta tessile vegetale del mondo, alcuni studiosi datano la sua comparsa intorno al secondo millennio a.C., in India e in Perù, ma la certezza della sua esistenza e, soprattutto del suo utilizzo, si fanno risalire agli studi del dottor J. Forbes Royle (1798 – 1858), botanico che, nel suo libro “Sulla cultura e commercio del cotone in India e altrove”, cita gli “Istituti sacri di Manu”,una raccolta di leggi, datati 800 a.C., dove si parla di tessuto di cotone,già di uso comune all’epoca. Tracce più recenti, si trovano nei geroglifici egiziani e, tuttora, l’Egitto produce una delle migliori qualità di questo filato per tutti mercati mondiali.
Con l’avvento in terre italiane degli Arabi, che si occupano anche della filatura e della tessitura di questa fibra, il cotone viene importato in Sicilia e in seguito in tutta Europa, intorno al XII sec.In seguito, dopo la cacciata dei Mori dalla Spagna, ilPortogallo, pur non occupandosi né delle coltivazioni né della produzione, diventa il maggior importatore del pregiato cotone indiano.
Nel corso dei secoli,quello del cotone diviene un vero e proprio impero, governato dall’Europa attraverso lo schiavismo e lo sfruttamento degli indigeni nei paesi di produzione a opera dei padroni, impero sfruttato abilmente anche dalle grandi compagnie commerciali portoghesi, inglesi, olandesi e francesi, che sviluppano commerci sempre tra Asia, Americhe, Africa ed Europa.
Per soddisfare le richieste di consumo di questa fibra in continuo aumento eper avere una produzione rapida e costante, in America si ricorre alla esecrabile pratica dello schiavismo su vasta scala nelle famigerate piantagioni, soprattutto in numerosi stati del Sud degli Stati Uniti.
Anche l’Egitto ha la sua parte nella produzione del cotone: Muhammad Alì Pascià che governò il paese dal 1805 al 1848, con metodi spesso cruenti, obbligò con ogni mezzo, fino quasi a ridurli in schiavitù, i contadini a coltivare cotone nelle terre di proprietà statale.
Con lo sviluppo dell’industria manifatturiera, grazie alla meccanizzazione sia della filatura sia della tessitura, l’Europa, ma soprattutto la Gran Bretagna, tra il 1750 e il 1850, riesce a soppiantare la produzione extraeuropea.
I mézzari
Tutte le classi sociali, a cominciare dagli aristocratici, da subito accolsero con grande entusiasmo la nuova moda che aveva sostituito velluti e seta con il cotone e che si era diffusa in Europa agli inizi del Settecento.Promotrice e complice la città di Genova, dato che fin dal Medioevo era il cuore delle rotte commerciali con l’Oriente, dove venivano creati questi tessutivariopinti.
Il cotone è considerata la prima pianta tessile vegetale del mondo, alcuni studiosi datano la suacomparsa intorno al secondo millennio a.C., in India e in Perù, ma la certezza della sua esistenzae, soprattutto del suo utilizzo, si fanno risalire agli studi del dottor J. Forbes Royle (1798 – 1858), botanico che, nel suo libro “Sulla cultura e commercio del cotone in India e altrove”, cita gli “Istituti sacri di Manu”,una raccolta di leggi, datati 800 a.C., dove si parla di tessuto dicotone,già di uso comune all’epoca. Tracce più recenti, si trovanonei geroglifici egiziani e, tuttora, l’Egitto produce una delle migliori qualità di questo filato per tutti mercati mondiali.
Con l’avvento in terre italiane degli Arabi, che si occupano anche della filatura e della tessitura di questa fibra, il cotone viene importato in Sicilia e in seguito in tutta Europa, intorno al XII sec. In seguito, dopo la cacciata dei Mori dalla Spagna, il Portogallo, pur non occupandosi né delle coltivazioni né della produzione, diventa il maggior importatore del pregiato cotone indiano.
Nel corso dei secoli,quello del cotone diviene un vero e proprio impero, governato dall’Europa attraverso lo schiavismo e lo sfruttamento degli indigeni nei paesi di produzione a opera dei padroni, impero sfruttato abilmente anche dalle grandi compagnie commerciali portoghesi, inglesi, olandesi e francesi, che sviluppano commerci sempre tra Asia, Americhe, Africa ed Europa.
Per soddisfare le richieste di consumo di questa fibra in continuo aumento eper avere una produzione rapida e costante, in America si ricorre alla esecrabile pratica dello schiavismo su vasta scala nelle famigerate piantagioni, soprattutto in numerosi stati del Sud degli Stati Uniti.
Anche l’Egitto ha la sua parte nella produzione del cotone: Muhammad Alì Pascià che governò il paese dal 1805 al 1848, con metodi spesso cruenti, obbligò con ogni mezzo, fino quasi a ridurli in schiavitù, i contadini a coltivare cotone nelle terre di proprietà statale.
Con lo sviluppo dell’industria manifatturiera, grazie alla meccanizzazione sia della filatura sia della tessitura, l’Europa, ma soprattutto la Gran Bretagna, tra il 1750 e il 1850, riesce a soppiantare la produzione extraeuropea.
Genova, in un certo senso, se ne appropria e li definisce con un nome che porta con sé le origini arabe del nomee tutto il fascino dell’Oriente: “mézzaro” dalla parola araba “mizar”, che significa “coprire”, “nascondere”.

Stampo di legno per mezzari
Il mezzaro, in effetti, è un ampio velo che viene per l’appunto utilizzato per coprire suppellettili come sedie, divani e letti.Pian piano, però, la sua destinazione d’uso cambia, le donne genovesi cominciano ad adornarsene e lo sfoggiano come insostituibile capo d’abbigliamento in ogni occasione. Lo avvolgono intorno al corpo e se lo drappeggiano sul capo, con il supporto di pettinini e spilloni.
La grande innovazione dei mezzari
I mezzari vantano una rivoluzione epocale, rispetto ai tessuti fino ad allora in voga e la definizione che ne dà Wikipedia cela fra le sue righe, come un indovinello, il grande successo di questi teli:
Il mezzaro o mèṡere o mèṡero è un grande quadrato di stoffa in cotone o lino riccamente stampato principalmente con fantasiosi disegni di alberi […] e fiori, con cui le donne liguri si drappeggiavano già nel Duecento.
La soluzionesta in queste due parole: riccamente stampato.
Nel Duecento era più che raro vedere un tessuto stampato: o lo si intesseva con filati policromi per creare un disegno o veniva ricamato, ma a Genova il mezzaro era già comparso nel 1200, rimanendo sconosciuto nel resto del mondo occidentale, fino alla fine del 1600, quando viene aperto in Inghilterra il primo laboratorio di stampa.
Era stato già fatto qualche tentativo di riproduzione di questi teli nel corso dei secoli, ma con scarso o nullo successo, perché i risultati non erano mai all’altezza delle aspettative, infatti non esisteva una tecnica adeguata a fissare i disegni sulla stoffa e, di conseguenza, le stampe perdevano colore. Chi invece conosceva tutti i segreti di questa arte erano gli Orientali,infatti, il primo esempio di stampa su stoffa è cinese e risale al 220 a.C. Questa attività veniva compiuta utilizzando dei piccoli timbri intagliati nel legno e imbibiti di pigmento colorato: maggiore era il pregio del disegno dell’intaglio, maggiore era il pregio della stampa che ne risultava. Poteva trattarsi di semplici motivi geometrici monocromatici oppure di vere e proprie piccole sculture policrome che producevano piccoli capolavori su stoffa, molto richiesti.
Diffusione dei mezzari
Gli europei abituati a pizzi, merletti di rara fattura, stoffe ricercate, velluti fastosi, rasi, sete impalpabili, ricamate con preziosissimi filati non potevano credere, ma nemmeno immaginare che un semplice pezzo di umile cotone potesse avere un impatto così dirompente. Nessuno aveva mai visto dei tessuti al tempo stesso così sobri e così splendidi.
Genova era, intanto, diventata una potenza economica, tanto da fondare una Compagnia Genovese delle Indie Orientali per commerciare più liberamente con l’Estremo Oriente e approvvigionarsi facilmente delle mercanzie gradite in Occidente. Un progetto che però naufragò ben presto per l’ostilità di Inghilterra e Olanda.
Nel 1690 apre a Genova il primo laboratorio genovese di mezzari e anche altri, in breve tempo, seguiranno. Si cominciò la produzione con tessuti definiti “indiane”, un genere con piccoli decori floreali.Nella seconda metà del Settecento, invece, la manifattura iniziò a proporre i veri e propri “mezzari”, teli molto grandi con un campo centrale che, spesso, aveva come leitmotiv l’albero della vita.
A Genova tutte le dame lo indossavano, considerandolo un elemento imprescindibile del loro abbigliamento. Questa moda si diffuse ben presto in molte altre città italiane, dove il mezzaro mutò di nome a seconda del luogo: a Venezia fu lo”zendado”, a Firenze lo “scuffino”.Persino Giacomo Casanova nei suoi Memoires ricorda di avere comprato due mezzari per una certa Rosalia, perché li sfoggiasse come le dame genovesi.
Nella seconda metà del 1700, sull’onda del grande successo del mezzaro, si trasferirono a Cornigliano dalla Svizzera i fratelli Speich, dove chiesero il privilegio di poter produrre questi cotoni stampati con la promessa che sarebbero stati sicuramente all’altezza di quelli importati dalla Germania o dall’Inghilterra.
La produzione indiana era tra le più gradite agli occidentali, ma raggiunse l’apice quando contaminò nelle decorazioni il gusto prettamente orientale con quello occidentale. Tutte le classi sociali, dalle più povere alle più ricche facevano a gara per possedere una di queste stoffe.
Anche gli Indiani, infatti, al pari dei Cinesi possedevano l’arte di stampare i tessuti, fissandone i colori con il mordente, rendendoli così vivaci e brillanti;erano comunque molto costosi e per questo motivo si tentò di produrli in Europa, cercando di imitarne la tecnica.
Genova, dal canto suo, era un passo avanti rispetto agli altri paesi europei, perché già commerciava in questo settore da alcuni decenni, siamo alla metà del 1600, acquistando in Siria e in Turchia o addirittura nei porti di Livorno e Marsiglia, dove venivano smerciate le famose “indiane”.
Nel 1690, oltre ai fratelli Speich, apre bottega anche Gio Batta De Georgiis, un armeno stampatore di stoffe, che chiese il monopolio per dieci anni, per evitare la concorrenza di stranieri che avessero intenzione di esercitare la sua stessa attività all’interno della città, soprattutto gli armeni che avevano rivestito un ruolo molto importante nel commercio di indiane e nella diffusione delle tecniche di stampa.
Purtroppo, di tutta questa intensa opera manifatturiera non sono rimaste molte tracce, soprattutto dei tessuti stampati a Genova e a Marsiglia, dove era presente una colonia di armeni che lavorava nel settore tessile.
Esistono alcuni preziosi campioni di queste stoffe stampate in alcune città italiane come Genova, Milano, Napoli e Venezia insieme a esempi della produzione inglese e olandese, raccolti nel catalogo dal marechal de Richelieu tra il 1730 e il 1737.

caraco
Della produzione manifatturiera di indiane durante tutto il 1700 non si hanno molte notizie, se non sulla versatilità dell’uso delle indiane: si confezionavano capi d’abbigliamento come l’andrienne*o il caraco (corpino con la baschina alta) oppure vesti da camera.

figurino di caraco
Sempre a Genova, erano presenti anche stampatori francesi, penalizzati nel loro paese dai divieti di produzione e importazione di cotone indiano voluti da Jean Baptiste Colbert, uomo politico ed economista francese, perché questo commercio sarebbe andato a detrimento della manifattura serica in Francia.
*Box
Andrienne – Una novità elegante del 1700

Spolverina da viaggio e abito settecentesco per eccellenza, prende il nome dalla commedia Andrienne di Baron, rappresentata nel novembre 1703. La protagonista Marie Carton Dancourt apparve sul palco vestita in questa foggia, che ebbe subito grandissimo successo.

L’andrienne scende dritta fino a terra, aderente al busto, lascia scoperta la scollatura. Dietro ha una larga falda a pieghe che scende fluttuante dalle spalle, senza aderire invita, per allargarsi in un ampio strascico. Per confezionarla, venivano usati tessuti morbidi sia ricchi sia modesti.

Un articolo di Maria Cristina Cantàfora © per “La Camelia Collezioni”