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STORIA DELLA TESSITURA LIGURE – 5° e ultima pARTE

Tra Realismo e sublime bellezza nelle pieghe della tessitura artistica della Liguria italiana dal XV al XIX secolo

… e continua l’inarrestabile successo dei mezzari

Il mezzaro ormai è divenuto un capo irrinunciabile nel guardaroba delle donne europee dell’epoca. Nella seconda metà del 1700 fiorivano e prosperavano numerose manifatture, spesso in spietata concorrenza, che sfociava qualche volta in interminabili contenziosi portati davanti alle autorità dell’epoca, per dirimere la lite.

Uno dei più noti è il contenzioso nato fra Luigi David e i soci Speich e Hadner, titolari delle omonime aziende. Il nocciolo della questione consisteva nel fatto che David inficiava, col suo operato, il regime di monopolio concesso ai due soci, in qualità di manifatturieri di alta gamma, poiché produceva merce di bassa qualità, costringendoli così ad aumentare le paghe dei lavoranti, perché realizzassero tessuti con decori e stampe sempre più innovativi e che incontrassero il gusto della clientela femminile.

Dal canto suo, David replicò, supplicando l’organismo preposto alle liti, di permettergli di continuare l’attività, perché di qualità palesemente inferiore a quella di Speich e Hadner e con prezzi adeguati al manufatto. La controversia si protrasse per anni e, quel che è certo, è che Luigi David continuò indisturbato la sua attività per decenni.

Vi è scarsa testimonianza sulla produzione di questi manufatti, se non quella dei mezzari a marchio Speich. Era molto difficile distinguere l’una dall’altra le manifatture di provenienza, perché le dame genovesi non disdegnavano neanche le “indiane” provenienti dall’estero, questo fenomeno stava a dimostrare quanto fiorente e redditizio fosse il commercio di questi tessuti. Dal registro delle Tariffe del Porto Franco del 1776, a seconda della qualità e della provenienza, sono elencati ben 11 tipi di indiane:

“«di Levante ordinarie grossiere […] in pezzotti di Goa […] di Germania […] di Luca […] di Marsiglia […] di Olanda […] e di Ginevra, di Cottone fine di Levante, di Persia, della Cina, e di Calancà»” e “«Mezzari d’Indiana»” e «Mezzari di una tela di Goa, e Lisbona»”.

Diverso invece è il discorso delle decorazioni dei tessuti,che si possono ricavare da incisioni dell’epoca (1780-1783). In sostanza, i mezzari più leggeri e di dimensioni ridotte, da usare in estate presentavano disegni a piccoli fiori ed erano quelli preferiti dalle donne, al contrario di quelli decorati con l’albero fiorito, detto della vita, al centro, meno usati.

Questa varietà di decorazioni si trovano in molte collezioni sia francesi che genovesi e risalgono all’ultimo quarto del Settecento, ignorando però, la manifattura di provenienza. Verso la fine del secolo si assiste a un’impennata del settore cotoniero, che diventerà preminente all’interno delle varie produzioni manifatturiere liguri, grazie anche all’apporto degli artigiani svizzeri quali Speich, Hadner e altri presenti sul territorio, che contribuirono non solo al rinnovamento tecnologico ma anche a quello imprenditoriale genovese e che, per questi motivi, ebbero l’appoggio della Società Patria che li sostenne con varie iniziative.

Il mezzaro si distingueva da tutti gli altri tessuti detti indiane sia per le dimensioni sia per le decorazioni. Era un telo molto ampio e stampato con blocchi di legno incisi con un motivo centrale e un bordo. La decorazione centrale rappresenta l’albero “della vita” con rami dai fiori multicolori e popolato da animali.Alcune volte, in aggiunta, sono raffigurati altri soggetti, per esempio, una naveo un minareto. In altri casi, invece, il centro era costituito da piccoli motivi floreali disposti su tutta la superficie, incorniciata da un bordo con ghirlande di fiori dentro cesti, secondo il gusto dell’epoca e con piccoli animali.

L’albero centrale, nel tempo ha perso il suo significato originario, ma il mezzaro così decorato, prodotto dalle manifatture genovesi, ha sempre avuto un enorme successo. Molti esempi di questi tessutiportano il marchio dei fratelli Speiche di altri tessitori e la loro fortuna è durata fino agli inizi del 1900, acquistando sempre più caratteristiche europee, con i decori in voga a quell’epoca. Questa evoluzione nei decori è presente nei mezzari della manifattura di Sampierdarena e si può datare intorno al 1830-1838.

Sul tema dell’albero centrale, i disegnatori hanno dato sfogo a tutta la loro creatività. Tra quelli attribuiti alle manifatture di Genova, c’è il mezzaro “della scimmia”, così chiamato per la presenza di un macaco disegnato su di un ramo. In Francia, invece, era molto in voga il “panierfleuri”: stampe di cesti riempiti di grandi rose, tulipani, peonie decoravano i tessuti.

Spicca fra tutti questi tessuti, per la sua esecuzione impeccabile il mezzaro “della nave” e anche per il sincretismo geoculturale proprio dell’epoca, che ha stimolato la fantasia e l’inventiva dei decoratori, dove il gusto dell’esotico ha una parte rilevante.

Mezzaro della nave (particolare)

Genova, collezione privata

(Foto: Archivio fotografico,Soprintendenza P.S.A.E.)

La tradizione dei mezzari non è andata perduta e attualmente sono ancora utilizzati come complemento d’arredo, principalmente come copriletti e copridivani.

Da Jeane a jeans

Le manifatture liguri, con i preziosi tessuti di loro produzione, la fama giustamente conquistata e meritata per almeno due secoli, non avrebbero mai raggiunto la notorietà che perdura ancora attualmente, se dai telai genovesi non fosse uscita la stoffa più famosa e più usata in tutto il mondo: il “jeans”, creata nel 1500 proprio a Genova.

Tale manufatto prende nome dalla città in cui è nato, come era d’uso a quei tempi. Al porto di Londra, arrivavano dalla Liguria balle di fustagno con la scritta “Jeane”. Il fustagno era molto ricercato, intessuto con cotone, lino o lana, era oggetto di una particolare lavorazione con “armatura diagonale” che lo rendeva molto resistente, qualità che perdura ancora oggi.

I tessuti stretti antenati dei blue jeans hanno avuto un impiego molto illustre: sono stati utilizzati per raffigurare le “Storie della Passione”, consistevano inuna serie di 14 teli di lino bianco tinti con indaco e lumeggiati con la biacca. (Tav. 2)

Manifattura ligure sec. XVI. Teli della Passione (particolare).

Collezione Tessile Soprintendenza

Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico

(Foto: Daria Vinco,Soprintendenza P.S.A.E.)

Questa eccezionale opera d’arte ha vissuto rocambolesche avventure. Dall’Abbazia di San Nicolò del Boschetto passò in mano di privati alla soppressione delle chiese, durante il periodo napoleonico (1810) per giungere in seguito alla chiesa parrocchiale di Marassi, dove fu esposta durante la Settimana Santa.

Il ciclo venne messo in mostra ancora nel 1917 e nel 1939; ricomparve nel 1989 nell’allestimento della mostra “Blu blu jeans” organizzata dalla Regione Liguria. Nel 1990, data l’importanza storico-artistica, l’opera è stata sottoposta a vincolo con decreto ministeriale del 22 maggio 1990, ma dopo altre vicissitudini e passaggi di mano, lo Stato ha acquistato i teli e li ha consegnati alla Collezione Tessile della Soprintendenza ligure.

Il colore blu che fa da sfondo alle figure dipinte di bianco si è rivelata una mossa vincente, anche se, a differenza del rosso e dell’oro, non era molto diffuso. Assunse importanza nel XII secolo e divenne il colore prediletto dai re di Francia. Intenso e prezioso, in ambito religioso viene scelto a ben rappresentare la Vergine Maria, come simbolo della sua purezza.

Tutti questi elementi hanno concorso a creare il fascino della tela “jean” alla quale Genova è tuttora legata, col suo nome “jean o jeane” ha riscosso un successo planetario, che ancora miete grandi successi, soprattutto nel campo dell’abbigliamento sia popolare sia dell’alta moda.

Un articolo di Maria Cristina Cantàfora  ©  per “La Camelia Collezioni”

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STORIA DELLA TESSITURA LIGURE – IV° PARTE DI 5

Tra Realismo e sublime bellezza nelle pieghe della tessitura artistica della Liguria italiana dal XV al XIX secolo

L’inarrestabile ascesa del cotone

Un nuovo protagonista si affaccia sulla scena del comparto tessile: il cotone. È venuto il momento di cambiare,il velluto ha ormai fatto il suo tempo e la produzione della seta cala inesorabilmente.Siamo agli inizi del Settecento.

Breve storia del cotone

Il cotone è considerata la prima pianta tessile vegetale del mondo, alcuni studiosi datano la sua comparsa intorno al secondo millennio a.C., in India e in Perù, ma la certezza della sua esistenza e, soprattutto del suo utilizzo, si fanno risalire agli studi del dottor J. Forbes Royle (1798 – 1858), botanico che, nel suo libro “Sulla cultura e commercio del cotone in India e altrove”,  cita gli “Istituti sacri di Manu”,una raccolta di leggi, datati 800 a.C., dove si parla di tessuto di cotone,già di uso comune all’epoca. Tracce più recenti, si trovano nei geroglifici egiziani e, tuttora, l’Egitto produce una delle migliori qualità di questo filato per tutti mercati mondiali.

Con l’avvento in terre italiane degli Arabi, che si occupano anche della filatura e della tessitura di questa fibra, il cotone viene importato in Sicilia e in seguito in tutta Europa, intorno al XII sec.In seguito, dopo la cacciata dei Mori dalla Spagna, ilPortogallo, pur non occupandosi né delle coltivazioni né della produzione, diventa il maggior importatore del pregiato cotone indiano.

Nel corso dei secoli,quello del cotone diviene un vero e proprio impero, governato dall’Europa attraverso lo schiavismo e lo sfruttamento degli indigeni nei paesi di produzione a opera dei padroni, impero sfruttato abilmente anche dalle grandi compagnie commerciali portoghesi, inglesi, olandesi e francesi, che sviluppano commerci sempre tra Asia, Americhe, Africa ed Europa.

Per soddisfare le richieste di consumo di questa fibra in continuo aumento eper avere una produzione rapida e costante, in America si ricorre alla esecrabile pratica dello schiavismo su vasta scala nelle famigerate piantagioni, soprattutto in numerosi stati del Sud degli Stati Uniti.

Anche l’Egitto ha la sua parte nella produzione del cotone: Muhammad Alì Pascià che governò il paese dal 1805 al 1848, con metodi spesso cruenti, obbligò con ogni mezzo, fino quasi a ridurli in schiavitù, i contadini a coltivare cotone nelle terre di proprietà statale.

Con lo sviluppo dell’industria manifatturiera, grazie alla meccanizzazione sia della filatura sia della tessitura, l’Europa, ma soprattutto la Gran Bretagna, tra il 1750 e il 1850, riesce a soppiantare la produzione extraeuropea.

I mézzari

Tutte le classi sociali, a cominciare dagli aristocratici, da subito accolsero con grande entusiasmo la nuova moda che aveva sostituito velluti e seta con il cotone e che si era diffusa in Europa agli inizi del Settecento.Promotrice e complice la città di Genova, dato che fin dal Medioevo era il cuore delle rotte commerciali con l’Oriente, dove venivano creati questi tessutivariopinti.

Il cotone è considerata la prima pianta tessile vegetale del mondo, alcuni studiosi datano la suacomparsa intorno al secondo millennio a.C., in India e in Perù, ma la certezza della sua esistenzae, soprattutto del suo utilizzo, si fanno risalire agli studi del dottor J. Forbes Royle (1798 – 1858), botanico che, nel suo libro “Sulla cultura e commercio del cotone in India e altrove”,  cita gli “Istituti sacri di Manu”,una raccolta di leggi, datati 800 a.C., dove si parla di tessuto dicotone,già di uso comune all’epoca. Tracce più recenti, si trovanonei geroglifici egiziani e, tuttora, l’Egitto produce una delle migliori qualità di questo filato per tutti mercati mondiali.

Con l’avvento in terre italiane degli Arabi, che si occupano anche della filatura e della tessitura di questa fibra, il cotone viene importato in Sicilia e in seguito in tutta Europa, intorno al XII sec. In seguito, dopo la cacciata dei Mori dalla Spagna, il Portogallo, pur non occupandosi né delle coltivazioni né della produzione, diventa il maggior importatore del pregiato cotone indiano.

Nel corso dei secoli,quello del cotone diviene un vero e proprio impero, governato dall’Europa attraverso lo schiavismo e lo sfruttamento degli indigeni nei paesi di produzione a opera dei padroni, impero sfruttato abilmente anche dalle grandi compagnie commerciali portoghesi, inglesi, olandesi e francesi, che sviluppano commerci sempre tra Asia, Americhe, Africa ed Europa.

Per soddisfare le richieste di consumo di questa fibra in continuo aumento eper avere una produzione rapida e costante, in America si ricorre alla esecrabile pratica dello schiavismo su vasta scala nelle famigerate piantagioni, soprattutto in numerosi stati del Sud degli Stati Uniti.

Anche l’Egitto ha la sua parte nella produzione del cotone: Muhammad Alì Pascià che governò il paese dal 1805 al 1848, con metodi spesso cruenti, obbligò con ogni mezzo, fino quasi a ridurli in schiavitù, i contadini a coltivare cotone nelle terre di proprietà statale.

Con lo sviluppo dell’industria manifatturiera, grazie alla meccanizzazione sia della filatura sia della tessitura, l’Europa, ma soprattutto la Gran Bretagna, tra il 1750 e il 1850, riesce a soppiantare la produzione extraeuropea.

Genova, in un certo senso, se ne appropria e li definisce con un nome che porta con sé le origini arabe del nomee tutto il fascino dell’Oriente: “mézzaro” dalla parola araba “mizar”, che significa “coprire”, “nascondere”.

Stampo di legno per mezzari

Il mezzaro, in effetti, è un ampio velo che viene per l’appunto utilizzato per coprire suppellettili come sedie, divani e letti.Pian piano, però, la sua destinazione d’uso cambia, le donne genovesi cominciano ad adornarsene e lo sfoggiano come insostituibile capo d’abbigliamento in ogni occasione. Lo avvolgono intorno al corpo e se lo drappeggiano sul capo, con il supporto di pettinini e spilloni.

La grande innovazione dei mezzari

I mezzari vantano una rivoluzione epocale, rispetto ai tessuti fino ad allora in voga e la definizione che ne dà Wikipedia cela fra le sue righe, come un indovinello, il grande successo di questi teli:

Il mezzaro o mèṡere o mèṡero è un grande quadrato di stoffa in cotone o lino riccamente stampato principalmente con fantasiosi disegni di alberi […] e fiori, con cui le donne liguri si drappeggiavano già nel Duecento.

La soluzionesta in queste due parole: riccamente stampato.

Nel Duecento era più che raro vedere un tessuto stampato: o lo si intesseva con filati policromi per creare un disegno o veniva ricamato, ma a Genova il mezzaro era già comparso nel 1200, rimanendo sconosciuto nel resto del mondo occidentale, fino alla fine del 1600, quando viene aperto in Inghilterra il primo laboratorio di stampa.

Era stato già fatto qualche tentativo di riproduzione di questi teli nel corso dei secoli, ma con scarso o nullo successo, perché i risultati non erano mai all’altezza delle aspettative, infatti non esisteva una tecnica adeguata a fissare i disegni sulla stoffa e, di conseguenza, le stampe perdevano colore. Chi invece conosceva tutti i segreti di questa arte erano gli Orientali,infatti, il primo esempio di stampa su stoffa è cinese e risale al 220 a.C. Questa attività veniva compiuta utilizzando dei piccoli timbri intagliati nel legno e imbibiti di pigmento colorato: maggiore era il pregio del disegno dell’intaglio, maggiore era il pregio della stampa che ne risultava. Poteva trattarsi di semplici motivi geometrici monocromatici oppure di vere e proprie piccole sculture policrome che producevano piccoli capolavori su stoffa, molto richiesti.

Diffusione dei mezzari

Gli europei abituati a pizzi, merletti di rara fattura, stoffe ricercate, velluti fastosi, rasi, sete impalpabili, ricamate con preziosissimi filati non potevano credere, ma nemmeno immaginare che un semplice pezzo di umile cotone potesse avere un impatto così dirompente. Nessuno aveva mai visto dei tessuti al tempo stesso così sobri e così splendidi.

Genova era, intanto, diventata una potenza economica, tanto da fondare una Compagnia Genovese delle Indie Orientali per commerciare più liberamente con l’Estremo Oriente e approvvigionarsi facilmente delle mercanzie gradite in Occidente. Un progetto che però naufragò ben presto per l’ostilità di Inghilterra e Olanda.

Nel 1690 apre a Genova il primo laboratorio genovese di mezzari e anche altri, in breve tempo, seguiranno. Si cominciò la produzione con tessuti definiti “indiane”, un genere con piccoli decori floreali.Nella seconda metà del Settecento, invece, la manifattura iniziò a proporre i veri e propri “mezzari”, teli molto grandi con un campo centrale che, spesso, aveva come leitmotiv l’albero della vita.

A Genova tutte le dame lo indossavano, considerandolo un elemento imprescindibile del loro abbigliamento. Questa moda si diffuse ben presto in molte altre città italiane, dove il mezzaro mutò di nome a seconda del luogo: a Venezia fu lo”zendado”, a Firenze lo “scuffino”.Persino Giacomo Casanova nei suoi Memoires ricorda di avere comprato due mezzari per una certa Rosalia, perché li sfoggiasse come le dame genovesi.

Nella seconda metà del 1700, sull’onda del grande successo del mezzaro, si trasferirono a Cornigliano dalla Svizzera i fratelli Speich, dove chiesero il privilegio di poter produrre questi cotoni stampati con la promessa che sarebbero stati sicuramente all’altezza di quelli importati dalla Germania o dall’Inghilterra.

La produzione indiana era tra le più gradite agli occidentali, ma raggiunse l’apice quando contaminò nelle decorazioni il gusto prettamente orientale con quello occidentale. Tutte le classi sociali, dalle più povere alle più ricche facevano a gara per possedere una di queste stoffe.

Anche gli Indiani, infatti, al pari dei Cinesi possedevano l’arte di stampare i tessuti, fissandone i colori con il mordente, rendendoli così vivaci e brillanti;erano comunque molto costosi e per questo motivo si tentò di produrli in Europa, cercando di imitarne la tecnica.

Genova, dal canto suo, era un passo avanti rispetto agli altri paesi europei, perché già commerciava in questo settore da alcuni decenni, siamo alla metà del 1600, acquistando in Siria e in Turchia o addirittura nei porti di Livorno e Marsiglia, dove venivano smerciate le famose “indiane”.

Nel 1690, oltre ai fratelli Speich, apre bottega anche Gio Batta De Georgiis, un armeno stampatore di stoffe, che chiese il monopolio per dieci anni, per evitare la concorrenza di stranieri che avessero intenzione di esercitare la sua stessa attività all’interno della città, soprattutto gli armeni che avevano rivestito un ruolo molto importante nel commercio di indiane e nella diffusione delle tecniche di stampa.

Purtroppo, di tutta questa intensa opera manifatturiera non sono rimaste molte tracce, soprattutto dei tessuti stampati a Genova e a Marsiglia, dove era presente una colonia di armeni che lavorava nel settore tessile.

Esistono alcuni preziosi campioni di queste stoffe stampate in alcune città italiane come Genova, Milano, Napoli e Venezia insieme a esempi della produzione inglese e olandese, raccolti nel catalogo dal marechal de Richelieu tra il 1730 e il 1737.

caraco

Della produzione manifatturiera di indiane durante tutto il 1700 non si hanno molte notizie, se non sulla versatilità dell’uso delle indiane: si confezionavano capi d’abbigliamento come l’andrienne*o il caraco (corpino con la baschina alta) oppure vesti da camera.

figurino di caraco

Sempre a Genova, erano presenti anche stampatori francesi, penalizzati nel loro paese dai divieti di produzione e importazione di cotone indiano voluti da Jean Baptiste Colbert, uomo politico ed economista francese, perché questo commercio sarebbe andato a detrimento della manifattura serica in Francia.

*Box

Andrienne – Una novità elegante del 1700

Spolverina da viaggio e abito settecentesco per eccellenza, prende il nome dalla commedia Andrienne di Baron, rappresentata nel novembre 1703. La protagonista Marie Carton Dancourt apparve sul palco vestita in questa foggia, che ebbe subito grandissimo successo.

L’andrienne scende dritta fino a terra, aderente al busto, lascia scoperta la scollatura. Dietro ha una larga falda a pieghe che scende fluttuante dalle spalle, senza aderire invita, per allargarsi in un ampio strascico. Per confezionarla, venivano usati tessuti morbidi sia ricchi sia modesti.

Un articolo di Maria Cristina Cantàfora  ©  per “La Camelia Collezioni”