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STORIA DELLA TESSITURA LIGURE – 5° e ultima pARTE

Tra Realismo e sublime bellezza nelle pieghe della tessitura artistica della Liguria italiana dal XV al XIX secolo

… e continua l’inarrestabile successo dei mezzari

Il mezzaro ormai è divenuto un capo irrinunciabile nel guardaroba delle donne europee dell’epoca. Nella seconda metà del 1700 fiorivano e prosperavano numerose manifatture, spesso in spietata concorrenza, che sfociava qualche volta in interminabili contenziosi portati davanti alle autorità dell’epoca, per dirimere la lite.

Uno dei più noti è il contenzioso nato fra Luigi David e i soci Speich e Hadner, titolari delle omonime aziende. Il nocciolo della questione consisteva nel fatto che David inficiava, col suo operato, il regime di monopolio concesso ai due soci, in qualità di manifatturieri di alta gamma, poiché produceva merce di bassa qualità, costringendoli così ad aumentare le paghe dei lavoranti, perché realizzassero tessuti con decori e stampe sempre più innovativi e che incontrassero il gusto della clientela femminile.

Dal canto suo, David replicò, supplicando l’organismo preposto alle liti, di permettergli di continuare l’attività, perché di qualità palesemente inferiore a quella di Speich e Hadner e con prezzi adeguati al manufatto. La controversia si protrasse per anni e, quel che è certo, è che Luigi David continuò indisturbato la sua attività per decenni.

Vi è scarsa testimonianza sulla produzione di questi manufatti, se non quella dei mezzari a marchio Speich. Era molto difficile distinguere l’una dall’altra le manifatture di provenienza, perché le dame genovesi non disdegnavano neanche le “indiane” provenienti dall’estero, questo fenomeno stava a dimostrare quanto fiorente e redditizio fosse il commercio di questi tessuti. Dal registro delle Tariffe del Porto Franco del 1776, a seconda della qualità e della provenienza, sono elencati ben 11 tipi di indiane:

“«di Levante ordinarie grossiere […] in pezzotti di Goa […] di Germania […] di Luca […] di Marsiglia […] di Olanda […] e di Ginevra, di Cottone fine di Levante, di Persia, della Cina, e di Calancà»” e “«Mezzari d’Indiana»” e «Mezzari di una tela di Goa, e Lisbona»”.

Diverso invece è il discorso delle decorazioni dei tessuti,che si possono ricavare da incisioni dell’epoca (1780-1783). In sostanza, i mezzari più leggeri e di dimensioni ridotte, da usare in estate presentavano disegni a piccoli fiori ed erano quelli preferiti dalle donne, al contrario di quelli decorati con l’albero fiorito, detto della vita, al centro, meno usati.

Questa varietà di decorazioni si trovano in molte collezioni sia francesi che genovesi e risalgono all’ultimo quarto del Settecento, ignorando però, la manifattura di provenienza. Verso la fine del secolo si assiste a un’impennata del settore cotoniero, che diventerà preminente all’interno delle varie produzioni manifatturiere liguri, grazie anche all’apporto degli artigiani svizzeri quali Speich, Hadner e altri presenti sul territorio, che contribuirono non solo al rinnovamento tecnologico ma anche a quello imprenditoriale genovese e che, per questi motivi, ebbero l’appoggio della Società Patria che li sostenne con varie iniziative.

Il mezzaro si distingueva da tutti gli altri tessuti detti indiane sia per le dimensioni sia per le decorazioni. Era un telo molto ampio e stampato con blocchi di legno incisi con un motivo centrale e un bordo. La decorazione centrale rappresenta l’albero “della vita” con rami dai fiori multicolori e popolato da animali.Alcune volte, in aggiunta, sono raffigurati altri soggetti, per esempio, una naveo un minareto. In altri casi, invece, il centro era costituito da piccoli motivi floreali disposti su tutta la superficie, incorniciata da un bordo con ghirlande di fiori dentro cesti, secondo il gusto dell’epoca e con piccoli animali.

L’albero centrale, nel tempo ha perso il suo significato originario, ma il mezzaro così decorato, prodotto dalle manifatture genovesi, ha sempre avuto un enorme successo. Molti esempi di questi tessutiportano il marchio dei fratelli Speiche di altri tessitori e la loro fortuna è durata fino agli inizi del 1900, acquistando sempre più caratteristiche europee, con i decori in voga a quell’epoca. Questa evoluzione nei decori è presente nei mezzari della manifattura di Sampierdarena e si può datare intorno al 1830-1838.

Sul tema dell’albero centrale, i disegnatori hanno dato sfogo a tutta la loro creatività. Tra quelli attribuiti alle manifatture di Genova, c’è il mezzaro “della scimmia”, così chiamato per la presenza di un macaco disegnato su di un ramo. In Francia, invece, era molto in voga il “panierfleuri”: stampe di cesti riempiti di grandi rose, tulipani, peonie decoravano i tessuti.

Spicca fra tutti questi tessuti, per la sua esecuzione impeccabile il mezzaro “della nave” e anche per il sincretismo geoculturale proprio dell’epoca, che ha stimolato la fantasia e l’inventiva dei decoratori, dove il gusto dell’esotico ha una parte rilevante.

Mezzaro della nave (particolare)

Genova, collezione privata

(Foto: Archivio fotografico,Soprintendenza P.S.A.E.)

La tradizione dei mezzari non è andata perduta e attualmente sono ancora utilizzati come complemento d’arredo, principalmente come copriletti e copridivani.

Da Jeane a jeans

Le manifatture liguri, con i preziosi tessuti di loro produzione, la fama giustamente conquistata e meritata per almeno due secoli, non avrebbero mai raggiunto la notorietà che perdura ancora attualmente, se dai telai genovesi non fosse uscita la stoffa più famosa e più usata in tutto il mondo: il “jeans”, creata nel 1500 proprio a Genova.

Tale manufatto prende nome dalla città in cui è nato, come era d’uso a quei tempi. Al porto di Londra, arrivavano dalla Liguria balle di fustagno con la scritta “Jeane”. Il fustagno era molto ricercato, intessuto con cotone, lino o lana, era oggetto di una particolare lavorazione con “armatura diagonale” che lo rendeva molto resistente, qualità che perdura ancora oggi.

I tessuti stretti antenati dei blue jeans hanno avuto un impiego molto illustre: sono stati utilizzati per raffigurare le “Storie della Passione”, consistevano inuna serie di 14 teli di lino bianco tinti con indaco e lumeggiati con la biacca. (Tav. 2)

Manifattura ligure sec. XVI. Teli della Passione (particolare).

Collezione Tessile Soprintendenza

Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico

(Foto: Daria Vinco,Soprintendenza P.S.A.E.)

Questa eccezionale opera d’arte ha vissuto rocambolesche avventure. Dall’Abbazia di San Nicolò del Boschetto passò in mano di privati alla soppressione delle chiese, durante il periodo napoleonico (1810) per giungere in seguito alla chiesa parrocchiale di Marassi, dove fu esposta durante la Settimana Santa.

Il ciclo venne messo in mostra ancora nel 1917 e nel 1939; ricomparve nel 1989 nell’allestimento della mostra “Blu blu jeans” organizzata dalla Regione Liguria. Nel 1990, data l’importanza storico-artistica, l’opera è stata sottoposta a vincolo con decreto ministeriale del 22 maggio 1990, ma dopo altre vicissitudini e passaggi di mano, lo Stato ha acquistato i teli e li ha consegnati alla Collezione Tessile della Soprintendenza ligure.

Il colore blu che fa da sfondo alle figure dipinte di bianco si è rivelata una mossa vincente, anche se, a differenza del rosso e dell’oro, non era molto diffuso. Assunse importanza nel XII secolo e divenne il colore prediletto dai re di Francia. Intenso e prezioso, in ambito religioso viene scelto a ben rappresentare la Vergine Maria, come simbolo della sua purezza.

Tutti questi elementi hanno concorso a creare il fascino della tela “jean” alla quale Genova è tuttora legata, col suo nome “jean o jeane” ha riscosso un successo planetario, che ancora miete grandi successi, soprattutto nel campo dell’abbigliamento sia popolare sia dell’alta moda.

Un articolo di Maria Cristina Cantàfora  ©  per “La Camelia Collezioni”

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STORIA DELLA TESSITURA LIGURE – II° PARTE DI 5

TRA REALISMO E SUBLIME BELLEZZA NELLE PIEGHE DELLA TESSITURA

ARTISTICA DELLA LIGURIA ITALIANA DAL XV AL XIX SECOLO

I sontuosi lampassi liguri

I tessitori, pur essendo specializzati a produrre un certo tipo di tessuto, di solito velluto o damasco, in caso di necessità, erano in grado di fabbricare entrambi e addirittura di tesserne anche di genere diverso e di consistenza più leggera, rendendo così difficile l’individuazione del centro di provenienza in cui erano stati lavorati e, inoltre, a confondere la ricerca era la constatazione di un continuo scambio tra loro, dei disegni che decoravano le stoffe.

Nei primi decenni del Cinquecento, però, si possono attribuire, con una certezza quasi assoluta,alla manifattura ligure, dei sontuosi lampassi. Si tratta di pregevolissimi pezzi, dal costo molto elevato e che prevedevano certamente committenze di personaggi di alto rango, come per esempio, il cardinale Agostino Spinola che commissionò un prezioso parato per il baldacchino detto “delle armi”,da donare alla cattedrale di Santa Maria Assunta, a Savona, nel 1533.

Nel 1564, i Padri del Comune ordinarono un lampasso simile per ornare il baldacchino processionale della cattedrale di Genova. Questo preziosissimo reperto, con il fondo in raso rosso trame gialle e dorate lanciate, era opera di Ottavio Semino per i disegni e di Francesco De Ursio per i ricami. Presentava anche frammenti di gros de Tours,un tessuto francese con una lavorazione particolare, originario della città di Tours, laminato e acquerellato e, con taffettà bianco dipinto e ricamato per definire gli incarnati delle figure, perché nella parte superiore era stato decorato con medaglioni raffiguranti gli evangelisti.(Tav. 1)

- Paliotto ricamato. Genova, cattedrale di San Lorenzo

*Tavola 1 – Ottavio Semino, Francesco De Ursio e manifattura ligure – Paliotto ricamato.
Genova, cattedrale di San Lorenzo ora in deposito al Museo Diocesano
(Foto: Daria Vinco, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico)

 

Le decorazioni variavano a seconda del loro utilizzo: simili ai due paliotti appena descritti, con disegni a rapporto molto alto, ricoprivano le pareti dei palazzi più importanti come il pannello sfarzoso e ricchissimo dell’ammiraglio della Repubblica Giovanni Andrea I Doria. Gli stessi tessuti, ma con decori di misura inferiore, venivano impiegati per i parati liturgici o per la veste del doge per il giorno della sua incoronazione. (Tav. 2)

Telo in velluto cesellato. Genova, Palazzo Doria Pamphily

**Tavola 2 – Manifattura ligure. Telo in velluto cesellato.
Genova, Palazzo Doria Pamphily
(Foto: Archivio Palazzo Doria Pamphily)

Nella seconda metà del Cinquecento, la manifattura ligure era ancora in auge e molto richiesta in tutta Europa sia per stoffe d’arredamento sia per quelle d’abbigliamento. Si utilizzavano damaschi e velluti, esclusi in genere quelli con trama a filo d’oro, ma restavano pur sempre molto costosi.

L’abito della Dama ritratta da Bernardo Castello e già citata nella prima parte di questo lavoro è un chiaro esempio del loro utilizzo.

La loro provenienza era riconoscibile, quasi come un marchio di fabbrica, per lo schema decorativo molto particolare che presentavano. Nei primi anni del Seicento si può notare, nel pannello rosso qui riportato, il leitmotiv utilizzato, comune a tutti i velluti cesellati, anche con varianti, a più riprese:da un vaso si dipartono rami sinuosi, arricchiti da melograni, fiori di cardo e garofani,che formano grandi ovali a doppia punta sormontati da corona.

Per i teli che andavano a ricoprire le pareti, a seconda del gusto della moda in voga in quel periodo, venivano tessute anche le bordure, definite “colonne”, per scandirne la successione lungo le pareti e lavorate con broccature dorate o in velluto e damasco.

Un decoro molto adattabile a ogni impiego e per questo motivo eseguito da molte manifatture in Italia, soprattutto, a Lucca era quello definito “a tre fiori”. Ma numerose annotazioni nei libri contabili di un commerciante di tessuti,tale Michele Geronimo Rocca (1666 – 1668), così come anche riscontrato nelle documentazioni di acquisti di tessuti da parte di famiglie aristocratiche, testimoniano la presenza di una produzione genovese di velluti e damaschi “in due fiori” e “in tre fiori” e ne confermano la matrice ligure, soprattutto per quanto riguarda i velluti.

Un prezioso esempio di esempio di questa manifattura di velluto cesellato si può ammirare alla tavola 3.

manifattura ligure - velluto cesellato -Genova -

***Tavola 3 – Manifattura ligure sec. XVII.
Frammento di velluto cesellato decoro “3 fiori”.
Genova, Collezione Tessile Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico 
(Foto: Daria Vinco, Soprintendenza P.S.A.E.)

Ritratto di nobildonna genovese con il figlioRimanendo in questo ambito, l’utilizzo di questi decori nelle stoffe per abbigliamento, si può ritrovare nel ritratto di Nobildonna genovese con bambino(Washington, National Gallery of Art) del 1626 di Anton Van Dyck, durante il suo soggiorno genovese, dove l’abito del bambino,composto da calzoni e casacca,è confezionato con un tessuto simile a quelli citati. Anche il Ritratto di nobildonna genovese con la figlia, eseguito dallo stesso pittore (Museum of Art di Cleveland), presentato nella prima parte di questo lavoro, rivela il fitto decoro “a tre fiori” nel tessuto delle maniche aderenti al braccio e in quello dell’interno delle maniche pendenti della dama, vestita in rosso. 

Una rinomata casa manifatturiera di Zoagli conserva con grande cura,nel suo campionario, incollata su un foglio,una foto di un velluto cesellato lavorato a tre fiori con la didascalia:«Disegno n. 4 “Melagrana” Epoca Luigi XIV.  Rapporto cm. 14/16».Sotto la foto, la scritta: «Colori e cimossa originali», che si riferisce a due frammenti di tessuto applicati – uno con ordito di pelo azzurro, uno verde – e uno della cimosa. Si tratta di tessuti realizzati a imitazione di antichi disegni, con le relative cimose, realizzati su richiesta di un antiquario che forniva i modelli originali da copiare.

A cavallo tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, è la moda spagnola a dettare legge e questa tendenza comporta uno sforzo di fantasia veramente notevole da parte dei produttori per la creazione di piccoli decori sempre nuovi sui tessuti che, nella confezione degli abiti, non creassero troppi sprechi, in modo che si potessero unire anche a scacchiera o in diagonale.Come si può ben capire, in questa situazione è difficoltoso, distinguere quali siano i prodotti che appartengono alle manifatture liguri e, in modo più specifico, a quelle genovesi.

Sul fronte, invece, dei damaschi e dei velluti d’arredamento, la produzione tessile genovese dalla metà del Seicento alla metà del Settecento, ricopriva sempre un ruolo egemone, a livello internazionale, anche se la quantità era calata. A conferma di questa popolarità, il damasco genovese, nel 1689, era stato utilizzato per rivestire le pareti di una delle sale di rappresentanza del Palazzo di Hampton Court, e si può vedere in questa tavola un esempio similare, molto ricercato, con motivi floreali molto sinuosi e fastosi, tipici del gusto barocco.***** (Tav. 4)

Le produzioni di manifatture liguri, spesso, sono state identificate per confronto con lo stesso decoro su tessuti ritrovati nelle chiese e nelle collezioni private genovesi.

Al contrario, i velluti cesellati ritrovati sono piuttosto rari, probabilmente per il costo troppo elevato. Gli stessi produttori di questi preziosi tessuti, sfogarono la loro abilità e fantasia, siamo alla fine del Seicento, inizi del Settecento, creando velluti policromi di ogni trama e consistenza, sobri o con colori contrastanti, ma dove le foglie di acanto con le loro sinuosità e viluppi hanno un ruolo di primo piano, sontuosamente arricchite da perline o minuscoli uncini, dando vita a opere barocche visivamente mirabili.

Invidie e rivalità

Nel 1754, la supremazia dei tessitori liguri continua a essere incontrastata in tutta l’Europa, se persino l’Enciclopédie Dictionnaire Raisonné, alla voce damas deve ammettere sia pure a denti stretti, l’imbattibile qualità delle manifatture liguri, pur tacciando di grossolanità i tessitori dei paesi delle Riviere, definendoli “paesani molto rozzi”.

Parte del merito va anche ai legislatori dell’epoca che, attraverso controlli severi,mantenevano alta la qualità dei manufatti, visto che la produzione era molto selettiva e destinata a clienti di rango, finalizzata alla specializzazione nei tessuti per arredamento ben distinti per decori e caratteristiche formali da quelli dell’abbigliamento.

A questo punto la diffusa reputazione internazionale, insieme a cospicui guadagni porta un problema, l’imitazione e, di fatto, tutti i tessuti operati italiani subiranno il discapito ditale pratica, insomma l’attuale e tristemente noto “italian sounding”, in breve, prodotti stranieri spacciati come italiani. Da tutto ciò, si salva, però, il velluto nero di Genova, irraggiungibile e inimitabile per fattura e leggerezza, del quale sono rimasti ben pochi esemplari.

Nonostante la concorrenza sleale, gli imprenditori liguri continuano la loro produzione di damaschi e velluti operati. Nasce una forte concorrenza in Francia, a Lione, ma i clienti chiedono solo manufatti provenienti dall’Italia e i tessitori francesi sono costretti a marcare le loro stoffe con l’etichetta che ne certifichi la provenienza;lo stesso c’è chi le spaccia per genovesi o “alla maniera di Genova”.

A rinfocolare la rivalità, fu nel 1680 circa, l’atelier di Marcelin Charlier che, con la collaborazione del disegnatore Jean Berain, produsse un incomparabile velluto per la reggia di Versailles, che a lungo fu grande fonte di ispirazione per tutti i lavoratori del settore.

Già vittime di imitazioni più o meno legali, non paghi dei danni inflitti ai genovesi, nel 1735 i lionesi misero in atto anche lo spionaggio industriale, inviando un loro emissario a Genova, perché indagasse su tecniche, mezzi, e fabbrichee, possibilmente, per procurarsi anche le attrezzature idonee per la produzione di tessuti di pregio.

La città di Tours, per risolvere la crisi dell’imprenditoria tessile che la opprimeva, seguì l’esempio di Lione nell’imitazione della produzione genovese, pensando di aumentare il prestigio dei suoi manufatti all’estero, di conseguenza anche i profitti e incrementare così il numero delle maestranze addette ai lavori. Focalizzarono i loro interessi soprattutto sul damasco e i velluti, tessuti di pregio, resistenti e non soggetti alla volubilità delle mode.

Se sul damasco a Tours si raggiunsero buoni risultati che sfociarono anche in richieste da parte del re in persona, il velluto creò qualche difficoltà, tanto che venne chiesto al console di Francia a Genova di scegliere maestri tessitori rinomati da invitare in quella città.

Alcuni aderirono alla richiesta, ricoprendo nell’ambito della tessitura cariche autorevoli, incrementarono con esito molto positivo la produzione delle manifatture, confermando una volta di più quanto fosse importante il ruolo delle stoffe genovesi.

Un articolo di Maria Cristina Cantàfora  ©  per “La Camelia Collezioni” 

STORIA DELLA TESSITURA LIGURE – I ° PARTE di 5

TRA REALISMO E SUBLIME BELLEZZA NELLE PIEGHE DELLA TESSITURA

ARTISTICA DELLA LIGURIA ITALIANA DAL XV AL XIX SECOLO

Introduzione

Siamo ai primi decenni del 1600, il secolo del Barocco, sfarzoso e ricco e le tre dame*, raffigurate nei loro sontuosi e magnifici abiti, rappresentano l’epitome della straordinaria qualità e raffinatezza raggiunta dalle manifatture tessili, nell’ambito della produzione ligure di sete, broccati, damaschi e velluti di pregevole fattura, che già nel Medioevo e nel Rinascimento avevano raggiunto traguardi ragguardevoli.

 

 

Questi preziosi panni serici avevano dei costi molto elevati e se li potevano permettere solo i nobili o le classi molto agiate, per loro venivano confezionati abiti di seta, arricchiti da ricami e trame broccate dorate, sottolineando così una evidente differenza sostanziale tra gli abbienti, le classi di alto lignaggio e il popolino che vestiva sempre di scuro.

Un ulteriore impulso a questa manifattura venne favorito, nel 1500, dalla richiesta di tessuti pregiati per l’arredamento delle già opulente residenze, che si consolidò nel secolo successivo. Erano pannelli utilizzati come termoregolatori del caldo estivo e della rigidezza del rigore invernale, ma ben presto assunsero il ruolo di status symbol: gli interni delle dimore vennero ovunque rivestiti con preziosi arazzi di seta riccamente decorati, armonicamente assortiti nelle sfumature di colore tanto che, per un certo periodo, assunsero un valore aggiunto preminente rispetto alla pur apprezzabile mobilia.

Arte della seta a Genova: alcuni cenni storici

Fino all’ inizio del 1300 non si può parlare di una vera e propria produzione locale, ma piuttosto di commercio delle sete, perché Genova era il porto di transito per i tessuti provenienti da diverse zone del sud Italia e del Mediterraneo,che avevano come meta il nord d’Italia e diversi paesi europei.

Nella fase tumultuosa dei primi anni del XIV secolo, mentre Lucca era sconvolta dalla lotta fra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri, due mercanti lucchesi decisero di trasferirsi a Genova per tessere “zendado”, una stoffa impalpabile, simile al taffetà, che assunse tale importanza da essere citata più volte sia dal Boccaccio nel Decameron sia dall’ Ariosto nell’ Orlando Furioso, per descrivere l’abbigliamento della maga Alcina quando si reca all’ incontro amoroso col guerriero saraceno Ruggiero:

… benché né gonna né faldiglia avesse;

che venne avolta in un leggier zendado

Durante il secolo successivo, nel 1400, il numero degli artigiani setieri, provenienti da altre città in crisi, come Venezia per esempio, aumentò e contribuì a consolidare le basi dell’industria serica genovese. Con gli Statuti approvati nel 1432, si riconobbe all’ Arte della Seta la supremazia sulle altre arti per numero di artigiani raccolti, per il prestigio che dava alla città e per l’incremento dei beni pubblici e individuali.

Nella seconda metà del 1500 si era giunti all’ apice di queste manifatture: la lavorazione, la produzione e il commercio della seta impegnavano circa 38000 abitanti di Genova su un totale di 60000 che allora vivevano nella città. A maggior gloria di questo straripante successo, un artista lucchese, tale Baldo, come si può evincere dagli atti notarili stilati allora, si impegnava a fornire di nuovi disegni per i broccati e i velluti un nutrito gruppo di “setaiuoli” genovesi di fama e, nella sua scia, altri ne arrivarono.

Gli artigiani di origine toscana, che giunsero a Genova per svolgere la loro attività,portarono con sé anche una certa confusione, perché oltre a possedere doti artistiche eccellenti, avevano anche buone cognizioni tecniche nel comporre e riparare i telai ma, soprattutto, c’era fra di essi un continuo scambio tra i ruoli di pittori, ricamatori e disegnatori,che finivano per sovrapporsi nei lavori da svolgere.

Le stoffe di Genova, dette “Jeane” dal nome della città d’origine, ormai non temevano confronti in nessun paese europeo. I ricchi, i nobili, i principi, persino i re facevano a gara per arredare i propri palazzi con i damaschi, i velluti, i broccati, le sete genovesi con ricami e decorazioni sempre nuove e dalle nuances sempre più varie e armoniose,a costi inverosimili. Persino nell’ inventario stilato dopo la morte di Enrico VIII, si trovano descritte varie tipologie di questi velluti.

Anche il potente cardinal Mazzarino, primo ministro di Luigi XIV, in Francia, chiedeva continuamente che gli fossero inviati campioni di broccati, velluti e damaschi in varie tonalità di colore, per il tramite di uno dei molti rappresentanti che Genova aveva dislocato in tutto il territorio europeo, perché curassero i suoi interessi e ne sviluppassero il commercio.

Industria serica genovese: tecnica e commercio

Il grande apprezzamento che suscitavano i manufatti serici genovesi era dovuto all’ altissima qualità del prodotto. In origine, per la lavorazione, veniva utilizzata la seta greggia proveniente dalla Cina e dall’ Asia Minore ma, in seguito, tra il Cinquecento e il Seicento, il quantitativo maggiore di materia prima arrivava dall’ Italia meridionale.

Il livello di perfezione raggiunto era il frutto di una complessa filiera produttiva, a cominciare dal baco da seta per arrivare al manufatto, alla quale lavoravano numerosi artigiani molto abili ed esperti, che compivano al meglio ogni fase della lavorazione fino alla tessitura, coadiuvati dai tecnici, che si occupavano dei telai, delle loro componenti e della manutenzione.

L’industria serica genovese, dopo aver raggiunto l’acme nel 1500, vide l’avvio del suo declino nella seconda metà del 1600 quando, all’ interno della città, diminuì in modo drastico il numero degli imprenditori, a causa della crisi finanziaria che aveva provocato il rialzo del prezzo degli alimentari, della manodopera e una diminuzione del potere d’acquisto dei mercati europei, tartassati dalle guerre e dalle epidemie.

Il mercato, comunque, conservò una sua nicchia, grazie a facoltosi clienti aristocratici che prediligevano le stoffe genovesi, rinomate per qualità e resistenza e grazie all’ ascesa di nuove famiglie facoltose o di fresca nobiltà come Balbi, Durazzo, Moneglia, Saluzzo, Brignole, desiderose di emulare i nobili di antico lignaggio.

Il setaiolo doveva godere di cospicua disponibilità finanziaria per poter sostenere la sua impresa, poiché esercitava diverse tipologie di attività, anche se apparentemente affini. Svolgeva il ruolo di mercante, commerciante, ma anche di imprenditore che, in quanto proprietario sia delle materie prime sia del prodotto finito, rispondeva del successo o dell’insuccesso dell’intero processo produttivo ed era responsabile anche di tutte le maestranze che ne facevano parte.

A lungo andare, si crearono anche contrasti tra artigiani e imprenditori per le retribuzioni, sempre a causa della crisi finanziaria e la conseguenza fu l’esodo dei tessitori dalla città verso le zone rivierasche,causando molti problemi ai tessitori rimasti.

Questo fenomeno si rivelò positivo per la manifattura della seta, perché bilanciò la pesante diminuzione della produzione cittadina,strozzata dai problemi economici e,anche se non vennero raggiunti nel corso del secolo seguente i successi passati, tessuti come il velluto piano, operato e i damaschi mantennero sempre una qualità altissima e il primato anche in ambito europeo, senza cedere ai dettami della moda, che propendeva per l’introduzione di nuovi disegni; la parola d’ordine rimaneva sempre la medesima: alta classe e qualità indiscussa.

Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento questo orientamento si affermò sempre più, grazie anche alla maggiore diversificazione tra tessuti destinati all’arredamento e quelli destinati all’abbigliamento, ognuno caratterizzato da una gamma di diversificazioni ben distinta. I primi erano contrassegnati da elementi decorativi di grandi dimensioni, spesso incorniciati da temi vegetali disposti a specchio ai lati della pezza. I secondi, invece, presentavano piccoli motivi sempre più soggetti a variazioni col procedere del secolo.

La vigilanza dei setaioli sulla produzione è sempre ferrea sia sulla qualità sia  sulla esecuzione tecnica, a scapito però della creatività e delle novità proposte dalla moda.

* n. 1 –  Dama genovese con bambino
* n. 2 –  Marchesa Balbi
* n. 3 –  Dama rossa di Bernardo Castello

Un articolo di Maria Cristina Cantàfora  ©  per “La Camelia Collezioni”