TRA REALISMO E SUBLIME BELLEZZA NELLE PIEGHE DELLA TESSITURA
ARTISTICA DELLA LIGURIA ITALIANA DAL XV AL XIX SECOLO
Il “damasco in un fiore” ovvero il damasco della palma
Il “damasco in un fiore” ovvero il damasco della palma
Il tangibile emblema della popolarità raggiunta in ogni dove dai tessuti liguri è rappresentato dal damasco della palma, detto anche damasco in fiore, un disegno ritenuto tra i più fortunati di tutti i tempi e che ha riscosso un successo senza pari. Ottanta fra teli e parati di questo particolare tipo di tessuto sono stati rinvenuti in ottantacinque chiese della diocesi di Genova e catalogati nel patrimonio dei beni ecclesiastici.
Manifattura ligure secc. XVIII-XIX. Tenda in damasco rosso “della palma”. Genova,
Galleria Nazionale di Palazzo Spinola (Foto: Daria Vinco, Soprintendenza P.S.A.E.)
Il “damasco in fiore” fa la sua comparsa sul mercato tessile verosimilmente verso la fine della prima metà del Settecento, mentre i manufatti francesi, anch’essi di mirabile fattura, compaiono solo nella seconda metà di quel secolo, non raggiungendo mai la perfezione delle manifatture genovesi e liguri, tuttora attive in questa particolare produzione.
Nel corso dei decenni, il disegno originario ha subito delle variazioni a seconda del suo impiego e, a testimonianza del suo valore artistico ed estetico, sono stati ritrovati numerosi teli, nella dimora del marchese Alessandro Pallavicino dei duchi Grimaldi, in occasione della vendita dei suoi arredi, a Genova, nel 1899.
Viaggio a ritroso nel tempo
A questo punto della storia dei tessuti, vale la pena di fare una digressione e di ritornare indietro qualche secolo e viaggiare verso il Medio Oriente.
L’Oriente, nel Medioevo, godeva di un prestigio leggendario in Occidente sia nel campo delle scienze sia delle lettere sia per gli usi e costumi sfarzosi e, a dimostrazione di ciò, Federico II e Alfonso X il Saggio, re di Castiglia si circondano di famosi saggi arabi e vivono in uno sfarzoso lusso orientale.
Del resto, l’Islam ha lasciato tracce eterne della sua dominazione in Europa, un’eredità importante di incomparabile bellezza e i contatti con l’Oriente non vengono mai interrotti. È un continuo incrociare navigli lungo le rotte del Mediterraneo, da una sponda all’altra. Le crociate, i pellegrinaggi, i commerci incrementano questo flusso e gli orientali continuano ad arrivare, non più come invasori, ma come ospiti graditi con il loro bagaglio di sapienza e tesori, recando preziosi doni ai sovrani europei e anche ai papi; tessuti e pezzi di oreficeria vanno ad arricchire i tesori delle cattedrali.
Una quantità immensa di oggetti di metallo, di vetro e tessuti sono attribuiti ai musulmani e non sempre in modo pertinente, ma le definizioni “saraceno” e “damasco” ricorrono di continuo. I tappeti e i tessuti sono quelli che esemplificano meglio la situazione e il fervore dei mercati.
Si crea così una sorta di geografia tessile delle stoffe più famose: da Mossul la mussolina, stoffa di seta e d’oro, da Baghdad il baldacchino, una seta decorata da piccole figure, molto diffusa in Occidente e ancora da Damasco il damaschino intessuto con ornamenti e prodotto anche in Persia.
Il drappo d’Antiochia, invece, meno noto, è molto apprezzato a Londra e a Canterbury. Dall’Iran giungono il siglaton una preziosa stoffa di seta e il taffetà. Un mirabile esempio di tessuto persiano blu e rosso decorato con fenici cinesi si può ammirare nella pala di Melchior Broederlam, al Museo delle Belle Arti a Digione, rappresentato dalla veste che indossa il personaggio con la barba che tiene il Bambino in braccio, particolare della “Presentazione al tempio e la fuga in Egitto”, 1398.
Pala di Melchior Broederlam -Museo delle Belle Arti – Digione.
“Presentazione al tempio e la fuga in Egitto”, 1398
Ma ecco altri esempi di preziose stoffe, che, attraverso le rotte marine o lungo la via della seta, arrivano alle corti occidentali: il camocato, una seta ricca spesso broccata d’oro dalla Cina, dal canto suo l’isola di Cipro produce il maramato, ma ancora più prezioso, il damasco di Cipro insieme all’oro di Cipro, una stoffa a cordonetto d’oro. L’Egitto propone i dabiki a fiori dorati e i veli alessandrini, forse antenati dello zendado e dello zendale. Non esiste distanza che separi l’Oriente dall’Occidente.
L’Italia ha dato il suo ampio contributo alla diffusione di queste stoffe. Palermo è la prima città a rifornire per lungo tempo i più importanti mercati europei, già dal tempo di Ruggero II di Sicilia (Mileto, 1095 – Palermo, 1154). Nella città, infatti, erano stati creati atelier dove lavoravano in armonia greci, siciliani e arabi, con manovalanza occidentale.
Alla chiusura di queste manifatture, a causa dei Vespri Siciliani, i famosi moti del 1282, gli artigiani di Palermo si trasferiscono a Lucca, Amalfi e in seguito a Genova, Firenze, Venezia. Nuovi atelier saraceni si espandono in tutta l’Europa e con loro sete, arazzi, broccati. Ma già la Francia e siamo intorno al 1260, pur avendo sue produzioni, cominciava ad acquistare soprattutto in Italia.
Naturalmente, nel corso dei secoli successivi l’Occidente non ricerca più gli stessi valori e anche l’Oriente è cambiato, ma la sua impronta sarà sempre immanente e rappresenterà una continua e prolifica fonte di ispirazione per gli artigiani d’Occidente.
I velluti a “giardino”
I velluti cosiddetti a giardino, perché a motivi floreali multicolori, effetto dovuto ai fili di pelo di colori diversi, sono nati in Oriente. Già nel 1200 si era cominciato a tessere questo prezioso velluto, un tessuto che con le sue policromie, le trame dorate, per non dire del preziosissimo velluto cesellato, soffice al tatto, rappresentava la quintessenza della produzione serica e dava lustro a chi ne faceva dono e a chi lo riceveva.
Nella Galleria degli Uffizi, a Firenze, Il pittore marchigiano Gentile da Fabriano ha dipinto i magi con vesti che ricordano le origini esotiche dei tessuti pregiati che li rivestono e si possono osservare facilmente i velluti policromi “a giardino”.
Gentile da Fabriano – Gli Uffizi – Firenze. “Adorazione dei Magi”, 1423
In Italia, nel Quattrocento, ormai la produzione era molto diffusa e i centri più rinomati erano Firenze e Venezia.
Data la complessa preparazione del telaio, questa tessitura fu abbandonata per un lungo periodo di tempo, ma ritornò in auge nella seconda metà del Cinquecento, per le modifiche tecniche nel frattempo apportate alle macchine tessili, soprattutto nel secolo successivo, in modo tale che anche i disegnatori potessero creare nuove decorazioni possibili da realizzare.
Durante il periodo barocco, i setaioli si sbizzarrirono, utilizzando come tramite il velluto, a creare nuovi decori che attirassero l’attenzione di una società sempre attenta ai nuovi capricci della moda e così, senza abbandonare le sinuose volute dell’acanto, simbolo della perfezione estetica di quel secolo, proposero decori con fiori nel pieno del loro rigoglio, rappresentando i tessuti come un giardino in piena fioritura.
Tutta l’aristocrazia ne fu subito conquistata, i velluti “a giardino” furono considerati i tessuti per arredamento più belli e più ricchi, tanto che sia i duchi di Baviera sia Luigi XV, re di Francia, ne utilizzarono per i loro padiglioni. Nell’alcova dei duchi di Baviera, il velluto dell’arredo è simile a uno tra i tanti “a giardino” raccolti nel duomo di Aosta, dai quali risulta evidente la bellezza, dovuta alla maestria dei tessitori e alla fantasia dei disegnatori.
Per produrre dei velluti di così indubitabile pregio, le manifatture dovevano essere altamente specializzate e solo pochi addetti possedevano la professionalità, la competenza e l’esperienza tecnica e creativa, perché la realizzazione era molto complessa. Si doveva seguire uno schema preciso e un piano di lavoro, programmato in funzione del disegno che si voleva ottenere e dell’effetto ottico e tattile che si voleva dare.
Se nel Cinquecento e Seicento i centri di produzione per eccellenza sono Firenze e Venezia, nel secolo successivo la mano passa a Genova e ai tessitori della riviera di levante, sempre imitati ma mai raggiunti, che ottiene una posizione preminente sul mercato europeo per i velluti cesellati e addirittura conquista la nomea di “patria” per i velluti a giardino.
Manifattura genovese(?), seconda metà del XVII secolo:
piviale di velluto giardino.
(T. Mattina)
Ben presto, però, altri centri si affacciano alla ribalta manifatturiera per contendere il primato alla città ligure: Torino e Milano. La concorrenza diviene sempre più serrata e così pure l’imitazione si diffonde insieme, a volte, allo spionaggio industriale.
Le tecniche di lavorazione, a seconda del tipo di tessitura e dei materiali impiegati, rendevano più o meno costosi e più o meno preziosi questi tessuti. Restano comunque campioni di queste stoffe in Francia come in Italia per testimoniare il successo di questi velluti e il fascino che avevano esercitato per secoli presso l’aristocrazia e la clientela più raffinata d’Europa.
Un articolo di Maria Cristina Cantàfora © per “La Camelia Collezioni”